Adoro Hannah Arendt!
“Le origini del Totalitarismo”, il suo testo più importante, rappresentava una lettura fondamentale che, oltre ad illustrare la filosofia dell’autrice, viene considerato uno degli scritti principali per la comprensione del fenomeno totalitario che ha scosso profondamente l’Europa durante la prima metà del ‘900.
La filosofa parte da molto lontano ed è questa ricerca che conferisce spessore al suo lavoro. Lo si comprende dalla ricchezza dei riferimenti a pie’ pagina.
Analizza la questione ebraica sin dalle sue origini, illustrando gli interessi comuni con le case regnanti in Europa. Tocca il fenomeno del colonialismo: fucina dei sentimenti razzisti e campo di prova delle pratiche di terrore che poi saranno utilizzate in Europa.
Illustra l’emancipazione della borghesia europea, che giocò un ruolo fondamentale nella fase di ascesa dei regimi, i meccanismi sociali relativi al consenso che le masse diedero ai nuovi potenti.
Non fu un fenomeno prettamente tedesco, l’idea del totalitarismo sedusse anche altre nazioni e, sebbene Arendt parli principalmente del nazismo fornisce anche una buona visione dello stalinismo e solo di sfuggita del fascismo – fenomeno che lei non considera totalitario, ma derubrica a “semplice dittatura” (per quanto autori come Emilio Gentile non concordino), ma tanto basta a comprendere anche la realtà italiana.
Prosegue con una dissertazione sul concetto di “razza” e dei pan-movimenti che sorsero: germogli dei movimenti totalitari.
L’essere umano, i cui pezzi di anima sono sparsi lungo questo cammino, non ne emerge con uno luce che possa fargli sperare una qualche speranza di “santità”, per quanto la conclusione del libro sembri indicare una possibile redenzione.
Libro complesso, articolato, strutturato, decisamente non semplice. Ma, in verità, sono così tutte le opere della Arendt e, come tutti i suoi testi è imprescindibile.