Nato dalla penna di Tirso de Molina, cresciuto sotto la guida di Moliere e divenuto famoso grazie a Da Ponte e Mozart, Don Giovanni ha vissuto mille vite, tutte quelle che di volta in volta gli hanno imposto autori quali Kierkegaard, Puskin, Apollinaire, Hoffman, Balzac, Shaw, Pirandello.
Ma tutti si sono sempre fermati all’apparenza, piegando sempre l’animo del personaggio alle proprie esigenze artistiche, provando a cambiare colore a quella patina che il tempo aveva stratificato su quella figura, come neve che posata al suolo era divenuta prima ghiaccio, poi fango e infine terra.
Due scrittori hanno provato a scavare un po’ più a fondo, illustrando aspetti interessanti di un’anima complessa.
Saramago, in un breve racconto, esplora il personaggio nella sua “esistenzialità”, legandolo al contenuto di quel diario, in cui Leporello annota tutte le conquiste.
Ma è Baudelaire che si spinge in profondità, anche se lo fa in maniera cupa, richiedendo al lettore un grande sforzo intellettivo, poiché non è facile cogliere il parallelo tra il libertino ed il poeta. Per farlo però ha bisogno di prolungare il racconto di Moliere, oltre al momento, che pone fine al racconto, in cui il commendatore lo fa sprofondare all’inferno.
Don Giovanni è sul legno di Caronte, che ha pagato come fece con il mendicante al quale chiese, in cambio, di bestemmiare.
In questa scena è presente il padre, che si vendica deridendolo, Sganarello, che continua a pretendere di essere pagato, donna Elvira, che mendica ancora amore. Si intravede la schiera delle donne che ha conquistato, anime nere e corpi flaccidi.
Ma lui, le calme héros, non si cura di nulla. Quello che ha spinto gli altri a seguirlo, valori che tengono loro in vita, per lui non significano nulla, come sempre è stato per lui.
Poggiato alla sua spada tiene lo sguardo alla scia della barca, i suoi pensieri non hanno voce. In vita ha ricercato nei piaceri della carne la fuga dalla vita per sfuggire dal mostro contro cui si mette in guardia il lettore negli ultimi versi della poesia che apre la raccolta de I fiori del male. Ora non è più possibile sfuggirgli, quasi fosse seduto al suo fianco, lo fa sprofondare oltre l’inferno in cui si trova, al di sotto di quelle acque sulle quali la barca si muove.
La noia. Non quella che ne viene dal troppo uso di ciò che procura piacere che pretende sempre di più, che sempre più spinge oltre, ma quella che sopraggiunge quando ti rendi conto che tutto ciò per cui si vive non ha alcun valore.
Don Juan aux Enfers (Les fleurs du mal – XV) | Don Giovanni all’inferno (I fiori del male – XV) |
Quand Don Juan descendit vers l’onde souterraine Et quand il eut donné son obole à Charon, Un sombre mendiant, l’oeil fier comme Antisthène, D’un bras vengeur et fort saisit chaque aviron. Montrant leurs seins pendants et leurs robes ouvertes, Des femmes se tordaient sous le noir firmament, Et, comme un grand troupeau de victimes offertes, Derrière lui traînaient un long mugissement. Sganarelle en riant lui réclamait ses gages, Tandis que Don Luis avec un doigt tremblant Montrait à tous les morts errant sur les rivages Le fils audacieux qui railla son front blanc. Frissonnant sous son deuil, la chaste et maigre Elvire, Près de l’époux perfide et qui fut son amant, Semblait lui réclamer un suprême sourire Où brillât la douceur de son premier serment. Tout droit dans son armure, un grand homme de pierre Se tenait à la barre et coupait le flot noir; Mais le calme héros, courbé sur sa rapière, Regardait le sillage et ne daignait rien voir. | Quando scese nell’onda di sotterra Don Giovanni, e a catone fu l’obolo pagato, occhio fiero d’Antistene, braccio vindice e forte un cupo mendicante s’impadronì dei remi. Donne dai seni penduli e dalle vesti aperte Si torcevano sotto il nero firmamento, e, quel branco di vittime all’ecatombe offerte, dietro di lui muggivano monotono un lamento. Sganarello, ridendo, chiedeva il suo stipendio, e Don Luigi alzava l vecchia mano stanca, per accusare all’ombre vaganti il vilipendio sparso dell’empio figlio sulla sua fronte bianca. La magra e casta Elvira, chiuso nel lutto il viso Allo sposo sleale, all’amante impudico, parea tremando chiedere un ultimo sorriso, che avesse la dolcezza del giuramento antico. Un grande uomo di pietra, entro l’arme vegliando, fendea, ritto al timone, la tenebra profonda, sdegnoso d’ogni vista, l’eroe, curvo sul brando, solo scrutava il solco della barca nell’onda. |
