Un libro leggero, scorrevole. Chi conosce il Don Giovanni di Da Ponte – Mozart, riconoscerà i dialoghi, sebbene modificati. Ma che senso ha questo libro? Non è da Saramago.
Poi capisco. In due righe si compendia il senso di quelle poche pagine.
Don Giovanni non è in verità l’uomo descritto, fatto di carne, di ossa e sangue. La sua essenza è tutta in quel catalogo che Leporello custodisce. È l’immagine costruita, quasi fossero tanti mattoni, dalle migliaia di donne che ha sedotto. Non importa se le abbia possedute o meno, quel che conta è che facciano numero in quelle pagine da mostrare per esistere e ogni volta rinnovarsi, che contribuiscano ad accrescere la figura del libertino.
A comprendere questo aspetto è Donna Elvira, che ancora ama il seduttore. Saramago modifica la storia e conduce l’amante, qui non più ingenua, a sostituire il volume, che il servo cela costantemente, con uno non vergato.
Quando Don Giovanni scopre l’arcano comprende che la vita è finita. È morto nel rogo, insieme a quel libro e non più nella gelida stretta di mano del Commendatore. Ma l’autore cambierà anche il finale.
Quel genio di Saramago.