Nel cammino che porta ad approfondire i vari significati attribuibili alla parola “tempo”, o semplicemente perché si ama Cioran, può capitare di imbattersi in questo testo – ingiustamente poco noto.
Ci si chiede, visto che Cioran è ateo, il perché parli di quell’evento che vide l’uomo allontanato dalle grazie divine.
In verità Cioran usa questo mito per schermare l’idea riversata in esso, da chi per primo lo ha raccontato. Si assiste ad un fenomeno puramente umano, teologia diluita fino a divenire antropologia.
L’uso simbolico della cacciata per rappresentare la condizione umana è, comunque, un espediente di grande effetto, comune a molti altri miti religiosi. Per il filosofo rumeno quell’evento rappresentò l’ingresso dell’uomo nella dimensione temporale o, se volete, l’uscita dall’atemporalità che caratterizza l’eternità. Questo perché nel paradiso terrestre, da immortali, il tempo non ha alcun senso ed è divenendo mortali che questo prende potere sull’uomo: lo limita dalla nascita alla morte, lo avvolge, lo contiene, come la buca una preda.
Nel paradiso terrestre l’uomo era eterno, ma non esisteva perché finché non c’è l’idea della morte, spesso imposta dalla malattia, non si ha consapevolezza di esistere. Questa idea ricorda tanto Borges, il quale afferma che solo gli animali sono veramente immortali, proprio perché ignorano il concetto di morte.
Per quanto possa sembrare un semplice problema logico il legame tra il tempo (in questo caso psicologico) e l’eternità è argomento di speculazione di fondamentale importanza. Se diciamo che si esiste solo se si avverte lo scorrere del tempo – perché il tempo è legato al mutamento e senza mutamento si è fermi in un eterno istante – e che con l’eternità non si è in questo flusso, quindi non si esiste, il pensiero di un dio che non può esistere nel tempo perché non può essere ad esso soggetto, lo mette a rischio di sprofondare nel non-essere, nel nulla e questo confonde non poco le nostre menti. Dopo aver ripreso fiato per un sì lungo periodo, c’è da dire che Cioran non parla di nessun dio ma dell’uomo.
Per Cioran l’uomo avrebbe dovuto scegliere l’albero della vita, non quello della conoscenza, perché se non si è immortali la conoscenza serve a ben poco, a soffrire consapevolmente. Ma l’uomo non poteva capire che l’altro albero sarebbe stato migliore, gli mancava la capacità di distinguere tra bene e male: che inganno.
Se solo fosse stato possibile accedere ad entrambi gli alberi, questo avrebbe reso l’uomo un dio. Ecco perché l’invidia divina suggerì la cacciata, ovvero l’invidia di chi quel racconto realizzò, visto che non era né un dio né immortale come Adamo. Occorre, però, dire che questa storia, per come viene raccontata, ha in sé un giudizio che vede giusta la condanna dell’uomo: ha sbagliato ed è stato punito. Ma ragioniamo secondo logica! L’uomo attinse dall’albero della conoscenza del bene e del male e fu punito per aver disubbidito, per aver compiuto del male! Ma l’uomo avrebbe capito cosa fosse il male solo dopo aver compiuto quel gesto, prima non aveva i mezzi per farlo. Ovvero l’onnipotente, l’immensamente giusto, punì un essere incapace di intendere e di volere. Ecco perché, dopo qualche secolo, avremmo iniziato a pregare: “non indurci in tentazione”.
In un altro suo testo (Sommario di decomposizione) Cioran elogia Baudelaire per la profonda comprensione delle dinamiche della vita. Qui ben si comprende il perché di quella affermazione. Il poeta francese visse all’ombra di quella malattia che è il vivere e da quella posizione, poeticamente privilegiata, riusciva a vedere la vita stessa con estrema chiarezza. Questa condizione, unita alle sue, poco comuni, capacità intellettive gli aveva consentito di descrivere la vita con lucidità, senza filtri correttivi. La poesia aveva reso i suoi messaggi accessibili, non necessariamente comprensibili, a chi non conosceva gli abissi.
Ma questi sono pensieri di un uomo invecchiato. In gioventù la forza vitale è tale da impedire il soffermarsi sul pensiero di una morte così lontana e la vita segue gli istinti, fatti di sangue e carne. forse è per questo che le religioni insegnano il senso del peccato e della morte sin da bambini. Anticipano la morte, infondono la paura. Inoculano la malattia e la cura, allontanano dalla vita, privano l’uomo della beatitudine che solo l’ignoranza concede, un riproporre quotidianamente la cacciata dal paradiso, la caduta tra le pareti di una prigione esistenziale.
La caduta nel tempo è un libro pieno di spunti di riflessione, sulla morte certo, ma soprattutto sulla vita.