Cos’è l’umami?
Perché dobbiamo considerarlo e perché farlo in ambito sigari?
Come mai quando si parla di degustazione, soprattutto di sigari, quasi mai si parla di Umami?
L’umami è il miglior esempio che si possa fare per comprendere come il nostro cervello classifica le informazioni, quelle che noi chiamiamo categorie, creando delle aspettative, può modificare le sensazioni che proviamo. Spesso consideriamo l’umami un qualcosa che appartiene alla cultura orientale, un qualcosa di esotico, che non ci appartiene. Non è così e proviamo a capire il perché.
L’umami è un sapore, serve ad arricchire la fase di analisi sensoriale, necessaria, ma non sufficiente, per degustare. Sforzarsi per percepirlo è un esercizio che affina i nostri sensi. Ricordiamo che la degustazione utilizza l’analisi sensoriale ma non confondiamo le due cose. Considerare la degustazione come semplice analisi sensoriale significa emettere un giudizio con una forte influenza dei nostri pregiudizi, cosa che accade molto più spesso di quanto si creda. Ma di questo ne stiamo parlando abbondantemente in altri video.
Sappiamo che la paternità dell’UMAMI viene attribuita al chimico giapponese Ikeda che aveva notato un sapore particolare nelle alghe kombu, utilizzate per insaporire molti piatti. È interessante però citare un altro personaggio, più vicino alla nostra cultura che, senza approfondire l’aspetto chimico, intuì che ai quattro sapori base mancava qualcosa. Parliamo del grande cuoco francese Auguste Escoffier.
Escoffier è colui che ha inventato la cucina moderna, ha suggerito come il commensale dovrebbe consumare il cibo per trarne il massimo piacere, ha fatto sì che dal buffet, composto da piatti freddi, cosa che andava di moda in Europa un paio di secoli fa, si passasse a menù composti da una serie di portate ordinate per intensità, sapori e temperatura. Oggi mangiamo e cuciniamo seguendo le indicazioni di Escoffier.
Cosa portò Escoffier ad una rivoluzione culinaria di tale portata?
Lui intuì che nelle parti che di solito venivano considerati scarti c’era un qualcosa che rendeva più saporite le portate. Il cuoco francese inserì nelle sue ricette l’utilizzo delle ossa animali per la preparazione delle Salse di base.
Era stato guidato dal piacere del gusto e questo semplice espediente lo aveva portato ad ottenere piatti più saporiti. Il termine saporito è proprio la traduzione che, di solito, usiamo per il termine Umami, quindi il lavoro di Escoffier non ci è affatto ignoto.
Oggi non vi è cuoco che non segua le indicazioni riportate nel suo libro di ricette. Ebbene Escoffier aveva scoperto quello che avremmo chiamato umami.
Spesso si dice che l’umami sia un esaltatore di sapidità, in effetti il sale viene usato come stabilizzatore dell’umami che in sé non è salato. Ritroviamo questo sapore in tantissime portate: nei formaggi a lunga stagionatura ad esempio, nel prosciutto, carne e funghi. Al nostro cervello piace e la lingua lo riconosce poiché l’umami, che la chimica lega alla sostanza del glutammato, indica la presenza di proteine nel cibo che stiamo masticando, un elemento che al nostro organismo serve e ai nostri sensi piace tutto quello che serve al nostro organismo. Per chi non si è mai cimentato nella ricerca di questo sapore, consiglio di concentrarsi su determinate portate cercando di individuarlo. Chi si occupa di cibo e cucina ben conosce questo sapore.
L’umami ha richiesto molto tempo per essere accettato dalla scienza. Per molto tempo i sapori sulla lingua sono rimasti quattro e questo, probabilmente, fin dai greci. Per la scienza la lingua non possedeva alcun recettore in grado di percepire una sostanza come il glutammato, è solo nel 2000 che viene effettuata la scoperta del recettore che concede al Umami diritto di cittadinanza nella famiglia dei Sapori.
Questo ritardo di riconoscimento da parte della scienza non è un semplice fatto didattico. Quando ci accingiamo ad effettuare un’analisi sensoriale le informazioni che abbiamo in contorno sono fondamentali per quello che i nostri sensi riescono ad individuare. Stranamente se degustiamo un prodotto e utilizziamo uno schema a 4 sapori, noi andremo a ricercare probabilmente quattro sapori e non ne troveremo di più. Il non avere tra le nostre possibilità l’opzione Umami molto probabilmente convince il nostro cervello a non valutare quello opzione e anche se vi troviamo un qualcosa che ci risulta saporito lo vediamo come un elemento che intensifica, non che amplia. E quindi fondamentale iniziare a cercare l’umami, perché la consapevolezza è il primo passo per questa interessante scoperta. Ma il sigaro cambia in fumata se noi cerchiamo l’umami? La risposta è positiva, visto che la consapevolezza di quello che si sta facendo aumenta la capacità di percepire, comprendere, giudicare un determinato prodotto. Anche se in quel sigaro l’umami non lo trovate.
SIGARO.
Per noi che fumiamo sigari? Serve parlare di umami in ambito sigari?
Certo. In fase di analisi sensoriale è importante raccogliere quante più informazioni possibili. Cercando l’umami, come detto sopra, si affinano i sensi.
Proviamo a capire in pratica come collegare il sigaro al sapore dell’umami, visto che il sigaro non ha nulla a che vedere con proteine di carne, di ossa bollite, formaggi o alghe. Però, attenzione, il sigaro non ha nulla a che vedere nemmeno con sostanze che consideriamo essere dolce, salato e amaro, eppure utilizziamo questi descrittori quando dobbiamo parlare delle sensazioni che proviamo in fumata.
Ma posso chiedere a quanti di voi è mai capitato in fumata di percepire sensazioni tipo affumicato oppure, strano a dirsi, note di barbecue. Sensazioni molto intense, magari fanno storcere il naso, ma che non vanno trascurate poiché, molto probabilmente, celano proprio l’umami. Ovvio che sensazioni così forti non le ritroviamo in tutti i sigari ma è utile lasciare aperto un canale sensoriale per questa percezione.
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