L’Aleph – Jorge Luis Borges

Probabilmente l’opera più famosa di Borges, “L’aleph” è una raccolta di racconti pubblicata in una versione integrale nel 1949 e, in una versione ampliata di ulteriori quattro racconti, nel 1952.

Ogni racconto è un elenco di eventi che, ad una lettura superficiale, possono esser detti banali. Un po’ come la vita di ognuno di noi agli occhi degli altri: nulla di speciale finché non si scorge quel dettaglio che la rende unica ed eccezionale.


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ALEPH
Prima lettera dell’alfabeto fenicio ed ebraico, composta da due Y (yod) e una H (vav). Nella bibbia le prime due lettere del nome della divinità sono Y e H. inoltre ℵ è la prima lettera del nome di Adamo (אָדָ) che significa uomo.

Dio solo creò Adamo. E
quando volle che Adamo
morisse, cancellò l’aleph,
prima lettera di EMET
(verità). Allora non rimase
altro che MET (morte).
Secondo altri commentatori la formula
magica completa era “Elohim Emet”
“Dio è verità”. Tolta l’aleph diviene
“Dio è morto”.
GOLEM – Gustav Meyrink



ETEROTIPIA
Per capacitarsi del fatto che Borges possa risultare complesso possiamo ricorrere al filosofo francese Michel Foucault che nel suo saggio “Le parole e le cose”, prendendo ad esempio proprio Borges, introduce un neologismo a rappresentare un concetto utile a comprendete le opere dello scrittore argentino: eterotipia.

Il termine eterotipia indica quei luoghi connessi ai concetti di cui si parla ma portano a rappresentazioni anomale, poiché sovvertono i rapporti e le regole cui siamo abituati. Una sorta di diversità che non è tale in apparenza.
In effetti Borges può risultare non immediato per il semplice fatto che lui rompe gli schemi, fa in modo che le categorie mentali, che siamo abituati ad usare per comprendere, divengano inutilizzabili.

Indice dei racconti.
L’immortale
Il morto
I teologi
Storia del guerriero e della prigioniera
Biografia di Tadeo Isidoro Cruz
Emma Zunz
La casa di Asterione
L’altra morte
Deutsches Requiem
La ricerca di Averroè
Lo Ẓāhir
La scrittura del dio
Abenjacàn il Bojarí, ucciso nel suo labirinto
I due re e i due labirinti
L’attesa
L’uomo sulla soglia
L’Aleph

La casa di Asterione
Il nome di Asterione è tanto sconosciuto quanto invece è conosciuto il suo mito. Figlio di Pasifae, moglie di Minosse re di Creta. È il famoso minotauro che vive nel labirinto, luogo che per lui rappresenta un rifugio, per noi una prigione. Trascorre le sue giornate a notare le diversità tra quello che è sempre uguale, in attesa del suo redentore.

Qui ritroviamo due figure ricorrenti in Borges. La verità e il labirinto. Quest’ultimo è un elemento simbolico, ad indicare un percorso arduo e pericoloso, rappresenta l’impossibilità per un uomo di trovare la verità assoluta con il solo uso dell’intelletto. Allegorie della complessità del mondo la cui intelligibilità non è afferrabile attraverso la sola ragione.

I due re e i due labirinti.
Un racconto da poche righe dove Borges ripropone ancora il tema del labirinto, rappresentato dal deserto. Qui “non ci sono scale da salire, né porte da forzare, né faticosi corridoi da percorrere, né muri che ti vietano il passo”, tanto simile alla prigione senza confini che De André cantò ne “Il ritorno di Giuseppe”. Ma non volendosi fermare davanti al solo significato ortodosso, ovvero che è impossibile per l’uomo giungere alla verità, perché con Borges resta sempre il dubbio che qualcosa sia sfuggito, che si possa tornare indietro e, seguendo un’altra strada, giungere a conclusioni differenti, possiamo chiederci cos’altro può rappresentare questo labirinto.
Se lo si considera come un elemento prettamente fisico, restando su un piano letterale, rischio al quale è esposto il lettore che non si è documentato su Borges prima di affrontare la lettura, si scade nella banalità, e questo è un elemento estraneo allo scrittore argentino.
Come si arriva a svelare altre metafore?
Nel deserto non ci sono vincoli alla libertà di movimento, ma si è comunque in una cella. Sembra che la comprensione del significato del deserto-labirinto sia un labirinto a sua volta, un labirinto-intellettuale. E se fosse l’intelletto la chiave, o almeno una possibile ché non è detto possano essercene alte, per comprendere?
E intelletto sia!
Nel deserto, che perde la sua connotazione classica di aridità, abbiamo ampi spazi, quindi nessuna restrizione fisica, ma comunque lo spirito avverte una forte oppressione. Manca il cammello tutto sommato, l’elemento che riesce a portare via, sempre che gli si sappia indicare la direzione giusta. Un mezzo a significare la capacità di gestire quello spazio, ovvero l’intelletto.
L’intelletto, manca l’intelletto per uscire dal labirinto (quello di secondo livello e quello di cui si parla nel racconto?).
Manca ancora qualcosa.
Se fosse così, se la prigione fosse tale per mancanza di intelletto, allora questa porterebbe anche a non comprendere che ci si trova in una prigione – e del racconto di Borges afferreremmo solo la storia di una vendetta consumata in grande stile.
Ripensiamo al deserto. E’ una mancanza per il corpo se si pensa all’acqua per bere e all’ombra per ripararsi. All’intelletto, la mancanza di cosa porta alla sofferenza? Cosa rappresenta l’acqua per esso? Ma non dev’essere una mancanza sua, che questa, di nuovo, azzererebbe ogni bisogno, ma in quello che lo circonda. Stimoli per ragionare? Risposte alle sue domande? Qualcuno con cui confrontarsi e che possa comprenderlo?

E che accade quando lo spazio è infinito? Il tempo vale nulla, e comunque la finitezza della vita poco incide. L’angoscia di chi sa che c’è tanto di cui si potrebbe ragionare ma non c’è tempo.


Lessi questi racconti cinque anni fa e non li capii. Di nuovo due anni fa e credetti di averlo capito. Ma non era vero.
Ancora una volta ora, e non riesco ad afferrarlo. Ma forse sì, poco però.
Non si è mai troppo giovani per Borges , mai troppo vecchi. Non si è mai troppo stupidi, mai troppo saggi.
Provate a leggerlo, poi abbandonate il libro, lo capirete dopo qualche anno, ma forse non tutto, un racconto alla volta, solo una parte di questo.

Così, su questo articolo, tornerò più volte, man mano che comprenderò qualcosa.

Poscritto. 03.03.2022
Nel libro di Michel Foucault “Le parole e le cose” parlando di un saggio di Borges si introduce un neologismo utile a comprendete le opere dello scrittore argentino: eterotipia.
Il filosofo francese usa questo termine per indicare “quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano”

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